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8.10 Ma non è impossibile raffreddare un astronauta nel vuoto?

IN BREVE: No, non è impossibile: se lo fosse, sarebbero impossibili anche le passeggiate spaziali odierne. Basta trasferire il calore all’apposita riserva d’acqua contenuta negli zaini e poi scaricare l’acqua riscaldata. L’esposizione al vuoto la fa gelare, togliendo ulteriore calore all’astronauta.


IN DETTAGLIO: Sul sito italiano Luogocomune.net si afferma che “non si conosce nessuna tecnologia in grado di raffreddare l’interno di una tuta, chiusa ermeticamente, senza un qualunque compressore/decompressore che si preoccupi di trasformare e disperdere il calore. Bisognerebbe infine spiegare come sia possiblie [sic] disperdere calore direttamente nel vuoto atmosferico.”*

* Massimo Mazzucco, Luogocomune.net (copia su Archive.is).


Se fosse esatta quest’affermazione, allora sarebbero impossibili tutte le passeggiate spaziali compiute dagli anni Sessanta in poi dapprima dagli astronauti russi e americani e poi anche da quelli europei e cinesi: anche loro avrebbero lo stesso problema di gestione del calore nel vuoto. Evidentemente esiste eccome una tecnologia che consente di proteggere un astronauta dagli sbalzi termici nel vuoto, altrimenti sarebbe necessario asserire che tutte le passeggiate spaziali mai fatte sono state falsificate (e che vengono falsificate tuttora, dato che le escursioni nel vuoto sono attività di routine a bordo della Stazione Spaziale Internazionale).

Molte di queste escursioni, o attività extraveicolari, abbreviate in EVA dall’inglese Extra-Vehicular Activity, non usano tubi di collegamento che possano convogliare via il calore, ma usano impianti autonomi contenuti nello zaino delle tute spaziali, e quindi sono molto simili alle escursioni degli astronauti Apollo sulla Luna.

Se fosse impossibile raffreddare un astronauta nel vuoto, allora sarebbe impossibile questa celeberrima foto, che mostra l’astronauta statunitense Bruce McCandless nello spazio, completamente slegato da qualunque cavo o tubo di collegamento (Figura 8.10-1).

Figura 8.10-1. Bruce McCandless effettua la prima passeggiata senza cavo di sicurezza mentre orbita intorno alla Terra nel 1984 durante la missione Shuttle STS-41-B (NASA).


Sarebbe impossibile anche la fotografia di Figura 8.10-2, che ritrae l’astronauta italiano Luca Parmitano all’esterno della Stazione Spaziale Internazionale, vincolato esclusivamente da una staffa che lo aggancia per i piedi al braccio robotico della Stazione.


Figura 8.10-2. Luca Parmitano durante la sua prima EVA a luglio 2013 (ESA/NASA).


Basta infatti leggere la letteratura tecnica (per esempio gli ottimi libri US Spacesuits di Kenneth S. Thomas e Harold J. McMann e Russian Spacesuits di Isaak P. Abramov e A. Ingemar Skoog), per rendersi conto che la tecnologia necessaria esiste eccome ed esisteva anche all’epoca delle missioni Apollo, come descritto in dettaglio nella sezione PLSS (Portable Life Support System) dell’Apollo Lunar Surface Journal.

Nelle escursioni lunari, il calore generato dall’astronauta veniva raccolto mediante una sotto-tuta aderente, il Liquid Cooling Garment, nella quale circolava acqua all’interno di una rete di tubicini. Questo metodo viene usato anche per le tute spaziali odierne e in alcune tute di piloti e meccanici di auto da corsa.*

* Il primo utilizzo di una sotto-tuta refrigerante nel settore commerciale risale al 1964, quando debuttò il sistema di raffreddamento dei piloti NASCAR, realizzato dalla Hamilton, che permise al pilota Paul Goldsmith di restare fresco nonostante la temperatura sulla pista raggiungesse i 54 gradi (da U. S. Spacesuits, di Kenneth S. Thomas, Harold J. McMann, pag. 122).


L’acqua riscaldata entrava in uno scambiatore di calore dentro lo zaino dell’astronauta (Figura 8.10-3), dove cedeva il proprio calore a una riserva d’acqua pari a quattro litri, portati a 5,2 nelle tute delle missioni più avanzate.

Figura 8.10-3. L’interno di uno zaino delle tute spaziali Apollo (visto da dietro). Credit: Ulli Lotzmann/NASM.



Figura 8.10-4. Vista posteriore schematica di uno zaino delle tute spaziali Apollo, dal libro L’esplorazione dello spazio a cura di Kenneth Gatland (1983). 1) Sistema di depurazione dell’ossigeno 2) Riserva d’emergenza di ossigeno ad alta pressione 3) Ossigeno a bassa pressione 4) Radio 5) Scatola delle interconnessioni elettriche 6) Circuito dell’acqua per il controllo termico 7) Circuito di ventilazione 8) Circuito del liquido refrigerante 9) Sottosistema primario dell’ossigeno 10) Valvole di scarico e rifornimento acqua.


Quest’acqua raggiungeva un sublimatore, dove veniva messa lentamente a contatto con il vuoto esterno. Il conseguente calo di pressione, in ossequio alle leggi della fisica, ne abbassava la temperatura: l’acqua ghiacciava sulla superficie esterna del sublimatore e lì si trasformava direttamente da ghiaccio in vapore acqueo, che veniva scaricato all’esterno con un apposito condotto.

Il sistema permetteva di smaltire fino a 2000 BTU/ora (circa 580 W), ossia abbastanza da condizionare uno stanzino e quindi più che sufficiente per tenere fresco un astronauta, tanto che per esempio John Young osservò che già la regolazione intermedia lo faceva gelare quando era a riposo.