Cerca nel blog

8.7 Come mai i volti degli astronauti esposti al sole nello spazio non si ustionavano?

IN BREVE: Perché avrebbero dovuto ustionarsi? La radiazione solare sulla Luna è la stessa che ricevono gli astronauti quando lavorano all’esterno della Stazione Spaziale Internazionale, eppure non li si vede rientrare ustionati, perché anche la parte trasparente del casco, oltre alla visiera dorata riflettente, filtra e blocca i raggi ultravioletti che causano le ustioni solari.


IN DETTAGLIO: Secondo alcuni complottisti lunari, sulla Luna i raggi solari non filtrati dall’atmosfera avrebbero dovuto ustionare il volto degli astronauti, eppure ci sono foto e filmati in cui girano tranquillamente con la visiera protettiva alzata, come mostrato nelle Figure da 8.7-1 a 8.7-4).

Per ignoranza, o per abitudine, noi siamo abituati a considerare lo spazio cosmico come un "vuoto" assoluto. In realtà questo spazio è attraversato costantemente da poderose radiazioni solari, milioni di volte più forti di quelle che noi rivceviamo [sic], filtrate dall'atmosfera, sulla Terra. Basti pensare alla differenza che si registra sulla nostra pelle se passiamo un'ora al sole nel tardo pomeriggio (quando i raggi solari ci arrivano in diagonale, e sono quindi maggiormennte [sic] filtrati dall'atmostera), e un'ora passata al sole a mezzogiorno (quando invece i raggi ci colpiscono in perpendicolare, ed attraversano uno strato più sottile di atmosfera).

[...] Pensiamo ora di togliere del tutto il filtro atmosferico, e di passare un paio d'ore con il volto esposto ai raggi solari, protetti soltanto dallo schermo del casco. Per quanto filtrante possa essere il suo materiale trasparente, non è certo pensabile di poter passare più di un paio di secondi alla diretta luce del sole, senza friggere come cotechini.

Così afferma, perlomeno, il già citato Massimo Mazzucco,* responsabile del sito Luogocomune.net, sostenitore di varie tesi di cospirazione, senza però fornire alcun documento tecnico a supporto di quello che dice.

* Luogocomune.net (copia conservata su Archive.is). Va detto che il cotechino non si frigge, si fa bollire.


Anche Mary Bennett e David Percy, nel loro libro Dark Moon, esprimono perplessità analoghe.

* Dark Moon: Apollo and the Whistle-Blowers (2001), pagina 102.


Figura 8.7-1. Dettaglio di un fotogramma tratto dalle riprese televisive della missione Apollo 17: Harrison Schmitt ha il volto al sole, con la visiera riflettente alzata.


Figura 8.7-2. La diretta TV di Apollo 17 dalla quale è tratta la Figura 8.7-1.



Figura 8.7-3. La Stampa del 14 dicembre 1972 mostra l’immagine di Schmitt. Dall’archivio personale di Gianluca Atti.


Figura 8.7-4. Dettaglio di un fotogramma delle riprese cinematografiche della missione Apollo 11: Buzz Aldrin ha il volto in pieno sole. Si nota lo “Snoopy cap”, il cappuccio bianco e nero che reggeva cuffie e microfoni della radio della tuta.


“Friggere come cotechini” è un’espressione indubbiamente colorita che rimane impressa, ma è contraddetta dal semplice fatto che anche gli astronauti che lavorano oggi all’esterno della Stazione Spaziale Internazionale non beneficiano dell’effetto filtrante dell’atmosfera terrestre e quindi sono esposti alle stesse “poderose” radiazioni solari dei loro colleghi lunari, eppure non si ustionano il viso né friggono come cotechini. Lo stesso vale per gli astronauti e cosmonauti che lavorarono all’esterno dello Skylab, dello Shuttle o della stazione spaziale russa Mir. Lo si nota, per esempio, nelle Figure da 8.7-5 a 8.7-9.


Figura 8.7-5. Jerry L. Ross lavora all’esterno dello Shuttle Atlantis (1991). Dettaglio della foto NASA STS037-18-032.



Figura 8.7-6. Mike Good all’esterno dello Shuttle Atlantis, in pieno sole. Foto NASA ISS023E047863.



Figura 8.7-7. Akihiko Hoshide lavora alla Stazione Spaziale Internazionale, 5 settembre 2012. Ha il viso esposto al sole. Fonte NASA/Space.com.



Figura 8.7-8. Alexander Gerst all’esterno della Stazione Spaziale Internazionale, con la visiera riflettente alzata. Fonte: ESA/Instagram.


Figura 8.7-9. Jessica Meir fotografa il proprio riflesso all’esterno della Stazione Spaziale Internazionale, con la visiera riflettente alzata. Fonte: NASA/Twitter, gennaio 2020.


I manuali tecnici delle missioni Apollo spiegano come stavano le cose realmente: sotto il casco esterno indossato durante le escursioni lunari e le passeggiate spaziali c’era un casco trasparente pressurizzato (pressure helmet) che circondava la testa dell’astronauta lunare, era fatto di Lexan, un materiale estremamente resistente e soprattutto altamente opaco ai raggi ultravioletti che causano le scottature.

Il casco esterno era dotato di due visiere: una più interna, che filtrava ulteriormente i raggi ultravioletti e quelli infrarossi, e una esterna (quella dorata visibile in tante fotografie), che filtrava la luce visibile (come gli occhiali da sole a specchio) per ridurre l’abbagliamento e fornire una barriera aggiuntiva a raggi ultravioletti e infrarossi.*

* Biomedical Results of Apollo, sezione 6, capitolo 6, Pressure Helmet Assembly.


I problemi di esposizione al sole erano stati previsti e risolti durante la pianificazione delle missioni e durante la progettazione delle tute spaziali, e furono collaudati durante delle passeggiate spaziali effettuate nel corso delle prime missioni Apollo in orbita intorno alla Terra, dove la luce solare ha sostanzialmente la stessa intensità che ha sulla Luna.

In pratica, gli astronauti sulla Luna non si ustionarono per lo stesso motivo per il quale non ci si abbronza stando in auto se non si abbassano i finestrini: il materiale trasparente lascia passare la luce visibile ma blocca i raggi ultravioletti che provocano la scottatura.

Sia sulla Luna che in orbita intorno alla Terra, gli astronauti alzano spesso la visiera dorata quando si trovano in ombra o penombra e a volte non la riabbassano quando tornano al sole, ma restano comunque protetti contro le scottature dagli strati multipli dei loro caschi. Al massimo rischiano di essere abbagliati dalla luce intensa.