Oggi si tende a usare termini come “filmato” o “video” in modo intercambiabile, per indicare indifferentemente i due tipi di tecnologia di ripresa, ma negli anni Sessanta del secolo scorso non era così: c’era infatti una differenza enorme fra televisione e pellicola, e la seconda aveva di gran lunga la meglio sulla prima in termini di qualità e mobilità.
La tecnologia televisiva, infatti, non aveva ancora beneficiato granché della miniaturizzazione dell’elettronica, per cui le telecamere a colori da studio alla fine degli anni Sessanta erano mostri ingombrantissimi e inefficienti, che avevano consumi di energia elevatissimi e pesavano oltre 160 chili, come quelle mostrate in Figura 6.1-1.
Figura 6.1-1. Telecamere a colori RCA TK-43 negli anni Sessanta. Fonte: Oldradio.com.
Le prime telecamere a colori “portatili”, come la Ikegami HL-33, comparvero soltanto negli anni Settanta. Le cose andavano un po’ meglio per quelle in bianco e nero, ma si trattava comunque di oggetti massicci e pesanti, inutilizzabili in luce fioca, che dipendevano da un’alimentazione elettrica di rete e da apparecchi di registrazione e di regia ancora più ingombranti.
Oltretutto le telecamere dell’epoca fornivano immagini piuttosto scadenti: niente di paragonabile a quelle che ci offrono oggi le minuscole videocamere in alta definizione che abbiamo nel telefonino.
Le cineprese, invece, erano già una tecnologia matura: erano compatte, leggere, robuste e completamente autonome grazie al loro funzionamento meccanico o a batterie. Le cineprese amatoriali erano poco più ingombranti di una fotocamera.
Per esempio, una cinepresa Arriflex professionale per pellicola da 16 mm pesava circa sei chili e non occorreva altro, a parte un eventuale registratore per l’audio e una buona scorta di pellicola, per ottenere nel luogo più sperduto immagini a colori la cui qualità era largamente superiore a quella televisiva dell’epoca. La cinepresa professionale era l’alta definizione portatile degli anni Sessanta.
Si usavano le cineprese praticamente per tutti i servizi di attualità, per i reportage di guerra e anche per documentare in dettaglio esperimenti scientifici, lanci di missili e collaudi di velivoli, grazie anche al rallentatore, un effetto difficilissimo da ottenere con le telecamere dell’epoca ma estremamente semplice da realizzare con le cineprese (era sufficiente far correre la pellicola più rapidamente del normale e poi proiettarla a velocità standard).
Gli inconvenienti di fondo delle cineprese erano ovviamente l’autonomia, limitata dalla quantità di pellicola disponibile, e l’impossibilità della trasmissione in diretta, perché la pellicola andava sviluppata usando un processo chimico. Ma se la diretta non serviva e una differita era accettabile, negli anni Sessanta la pellicola era insuperabile. È importante tenerlo presente per capire le scelte tecniche fatte dalla NASA per documentare le missioni Apollo.
Le cineprese Apollo
Le missioni lunari del programma Apollo furono equipaggiate con cineprese, denominate Data Acquisition Camera (DAC), che usavano cartucce di pellicola in formato 16 millimetri a colori (Figura 6.1-2).
Figura 6.1-2. La cinepresa Maurer 16mm usata a bordo del modulo di comando dell’Apollo 11. Fonte: Smithsonian National Air and Space Museum.
Erano estremamente compatte e leggere: compresa la cartuccia laterale, misuravano circa 22 per 12 centimetri, con uno spessore di sei centimetri e mezzo, e pesavano 1300 grammi.
Una di queste cineprese veniva montata nel modulo lunare in modo da riprendere verso il basso attraverso il finestrino destro, come si può vedere nella foto AS11-36-5389 di Figura 6.1-3. È grazie a questa tecnologia semplice ma efficace che abbiamo le immagini a colori della discesa del modulo lunare verso la Luna e quelle di Neil Armstrong mentre effettua il primo passo sul suolo lunare.
Figura 6.1-3. La cinepresa Maurer in posizione prima dello sbarco sulla Luna dell’Apollo 11. Dettaglio della foto AS11-36-5389.
Gran parte della prima escursione lunare (86 minuti su 131) fu ripresa a colori con questo sistema, inizialmente a cadenza normale e poi al ritmo di un fotogramma al secondo per risparmiare pellicola. Ciascuna cartuccia ne conteneva infatti solo 39,6 metri, sufficienti per riprendere poco più di tre minuti e mezzo a cadenza normale (24 fotogrammi al secondo): riducendo la cadenza si aumentava la durata, ottenendo però riprese dai movimenti meno fluidi e più a scatti. A un fotogramma al secondo, le riprese cinematografiche sono più che altro una serie di fotografie statiche scattata in rapida successione che un filmato vero e proprio.
Nelle missioni successive ad Apollo 11 la cinepresa fu portata fuori, sul suolo lunare: Apollo 12 e 14 la collocarono sul porta-attrezzi mobile, mentre le missioni 15, 16 e 17 la montarono sulla jeep lunare, come si nota in Figura 6.1-4, che permette di notare le dimensioni davvero ridotte della cinepresa.
Figura 6.1-4. A sinistra in alto, la cinepresa montata sul Rover, accanto a Charlie Duke, durante l’addestramento per l’Apollo 16.
Tutte queste riprese sono oggi disponibili in media risoluzione via Internet e in alta risoluzione sui DVD e Blu-ray pubblicati dalle case di produzione specializzate, come la Spacecraft Films.
Le telecamere Apollo
Trasmettere immagini televisive dallo spazio e dalla Luna comportava due sfide tecnologiche mai affrontate prima.
Una era realizzare una telecamera che funzionasse nel vuoto e con sbalzi termici fortissimi fra luce e ombra, sopportasse le violente vibrazioni del decollo e avesse dimensioni e pesi talmente ridotti, rispetto ai colossi dell’epoca, da permettere a un astronauta di trasportarla e maneggiarla negli spazi ristretti dei veicoli spaziali e sul suolo lunare.
L’altra sfida era trovare il modo di trasmettere fino a Terra un segnale televisivo in diretta da quasi 400.000 chilometri di distanza, usando soltanto l’energia elettrica disponibile a bordo del veicolo Apollo e un impianto di trasmissione radio concepito per scopi di tutt’altro genere. L’idea di fare una diretta televisiva dalla Luna, infatti, fu in un certo senso aggiunta all’ultimo minuto.
Le missioni Apollo 7 e Apollo 8 trasportarono una singola telecamera in bianco e nero a bassa cadenza di ripresa, fabbricata dalla RCA. Per Apollo 9, la NASA collaudò e usò una telecamera in bianco e nero della Westinghouse, concepita per essere usata anche sulla Luna. La missione Apollo 10 introdusse una telecamera a colori, sempre della Westinghouse, adatta solo per le riprese interne. Apollo 11 trasportò una telecamera a colori per le riprese a bordo e una telecamera in bianco e nero per le riprese esterne sulla superficie della Luna.
La telecamera per le riprese lunari dell’Apollo 11 (a destra in Figura 6.1-5), nota come Westinghouse Lunar Camera, consumava solo 6,5 watt, misurava 28 x 15 x 7,6 centimetri e pesava 3,3 chilogrammi, eppure era in grado di funzionare nell’ambiente ostile della Luna, nonostante il vuoto e gli sbalzi termici. Per ottenere questo risultato di miniaturizzazione e di leggerezza fu necessario utilizzare 43 circuiti integrati (una rarità per l’epoca) e un componente speciale, un tubo SEC (secondary electron conduction), che all’epoca era sotto segreto militare.
Figura 6.1-5. Stan Lebar, capo del progetto delle telecamere Apollo della Westinghouse, mostra la telecamera per interni (a sinistra) e quella lunare (a destra) dell’Apollo 11.
Fu anche necessario sacrificare inizialmente il colore: le immagini del primo sbarco furono così in bianco e nero.
Con il progredire della tecnologia e con l’esperienza acquisita dalla NASA nel ricevere un complesso segnale televisivo dalla Luna, le missioni successive furono dotate di una telecamera lunare a colori, leggermente più ingombrante, che come quella per interni usava un metodo ingegnoso per produrre immagini a colori: un disco con filtri rossi, verdi e blu (color wheel) girava davanti al sensore monocromatico, generando terne di immagini filtrate che venivano ricomposte dagli impianti di ricezione sulla Terra per ottenere i colori originali. Questo sistema era molto compatto e affidabile, ma aveva il difetto di creare scie multicolori intorno agli oggetti in rapido movimento.
Una volta risolti i problemi di peso e di miniaturizzazione, restava l’invio del segnale dalla Luna alla Terra. Le limitazioni degli impianti di trasmissione di bordo del modulo lunare consentivano una larghezza di banda di soli 700 kHz, mentre una trasmissione televisiva normale ne richiedeva 6000. Fu quindi necessario rinunciare al formato TV standard statunitense (NTSC) e adottarne uno speciale con una risoluzione inferiore. Per l’Apollo 11 questo formato aveva 320 linee progressive e 10 fotogrammi al secondo, contro le 525 linee interlacciate e i 30 fotogrammi al secondo della normale trasmissione televisiva negli Stati Uniti. La telecamera lunare per esterni disponeva anche di una modalità “in alta definizione”, con 1280 linee e un singolo fotogramma ogni secondo e mezzo, ma non fu mai usata.
Tutto questo rese necessario usare degli apparati speciali per convertire il segnale ricevuto sulla Terra allo standard televisivo normale. Mancando all’epoca la tecnologia digitale per le elaborazioni delle immagini in tempo reale, fu usato un sistema abbastanza drastico: una telecamera standard riprese le immagini che arrivavano dalla Luna, mostrate su un monitor speciale ad alta persistenza.
La perdita di qualità e di dettaglio dovuta a questa conversione fu in parte compensata da alcuni dispositivi elettronici, ma comunque la differenza fra il segnale ricevuto dalla Luna e quello convertito rimase molto grande, come si può notare nelle Figure 6.1-6 e 6.1-7.
Figura 6.1-6. L’immagine convertita, trasmessa dalle reti televisive mondiali durante i primi passi sulla Luna della missione Apollo 11.
Figura 6.1-7. L’immagine originale ricevuta dalla Luna, fotografata dal monitor prima della conversione.
Le escursioni delle missioni Apollo 12 e 14 usarono una telecamera a colori con una risoluzione inferiore a quella di Apollo 11, ossia 262 linee, ma adottarono un numero di fotogrammi al secondo maggiore, ossia 30, che diventavano 20 finali per via dell’uso di gruppi di immagini filtrate per comporne una a colori.
Le missioni Apollo 15, 16 e 17 ebbero in dotazione una telecamera differente e più grande, la Ground Commanded Television Assembly (GCTA) della RCA, montata sull’auto elettrica Rover e comandata direttamente da Terra. Questa telecamera aveva un obiettivo zoom 6x e una risoluzione di circa 200 linee; generava 30 fotogrammi al secondo, ridotti a 20 effettivi dopo la conversione, come quella precedente.
Per le missioni Apollo 16 e 17 furono inoltre introdotti sistemi di elaborazione delle immagini più sofisticati, che ridussero il rumore di fondo e migliorarono notevolmente la qualità delle trasmissioni a colori.
L’elaborazione fu realizzata dalla società privata Image Transform di North Hollywood, in California, alla quale le immagini ricevute dalla Luna venivano inviate per l’elaborazione istantanea prima di distribuirle alle reti televisive mondiali per la diffusione in diretta. In un certo senso, quindi, si può dire che alcune dirette lunari furono effettivamente realizzate con l’aiuto di Hollywood. La Image Transform, fra l’altro, fu fondata da John Lowry, che successivamente creò la Lowry Digital, società specializzata nel restauro digitale di film che si occupò anche del restauro della diretta TV lunare di Apollo 11 nel 2009, restituendo alle immagini parte della loro qualità originale.
Il segnale televisivo dell’escursione lunare di Apollo 11 fu ricevuto dalle grandi antenne situate in California (Goldstone, 64 metri di diametro, Figura 6.1-8) e in Australia (Parkes, 64 metri, e Honeysuckle Creek, 26 metri). Il decollo dalla Luna di Apollo 11 fu ricevuto dall’antenna da 26 metri installata a Fresnedillas, vicino a Madrid, in Spagna; questa stazione ricevente collaborò anche alle dirette delle missioni successive.
Figura 6.1-8. L’antenna a Goldstone negli anni Sessanta. Le automobili permettono di comprendere le dimensioni enormi della parabola.
Tutte le riprese televisive effettuate sono oggi disponibili via Internet e su DVD con le stesse modalità di quelle cinematografiche, anche in versione restaurata.
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Ora che sono stati descritti gli aspetti salienti delle tecnologie video e cinematografiche disponibili agli astronauti lunari negli anni Sessanta è possibile esaminare con maggiore cognizione di causa le varie presunte anomalie segnalate dai sostenitori delle tesi di messinscena.