IN DETTAGLIO: I sostenitori delle tesi di messinscena dicono che l’unica fonte d’illuminazione sulla Luna è il Sole e che siccome non c’è aria che diffonda la luce, le ombre degli oggetti dovrebbero essere scurissime e quindi qualunque oggetto in ombra dovrebbe essere immerso nell’oscurità.
Ma nelle foto lunari si nota per esempio che quando gli astronauti sono in ombra sono chiaramente visibili, come se ci fosse una seconda fonte luminosa apposita per rischiararli. Sarà forse un riflettore dello studio cinematografico?
Spesso questa tesi viene presentata (per esempio nel programma di Fox TV Did We Land on the Moon?) mostrando questa foto di Buzz Aldrin ai piedi del modulo lunare, durante la missione Apollo 11 (AS11-40-5869, Figura 5.5-1): l’astronauta è immerso nel cono d’ombra del modulo lunare, eppure è perfettamente visibile e la sua sagoma chiara spicca nel nero dell’ombra che lo circonda.
Figura 5.5-1. Aldrin sulla scaletta del modulo lunare. Foto AS11-40-5869.
A prima vista l’immagine sembra davvero strana e innaturale. Ma non perché la NASA usò delle luci sul set: la vera ragione è che l’illuminazione naturale sulla Luna è molto differente da quella che vediamo quotidianamente. Non siamo abituati a un cielo nerissimo di giorno; siamo abituati a un cielo luminoso che diffonde la luce. Sulla Luna, senza un’atmosfera che disperda la luce e illumini il cielo, diventano più evidenti altri effetti di illuminazione.
La tuta bianca altamente riflettente di Aldrin è semplicemente illuminata dal riverbero della superficie lunare, che è illuminata a giorno dal Sole e sta tutto intorno a lui. Questo riverbero è decisamente intenso: anche se la Luna riflette grosso modo quanto l’asfalto, la quantità di luce che riflette è sufficiente a farla brillare così intensamente nel cielo della Terra da essere visibile persino di giorno. È questa luce riflessa a rendere visibile Aldrin. Qualunque cosa si erga al di sopra della superficie lunare verrà illuminata dal riverbero dell’area circostante illuminata dal Sole. La presenza o assenza di un’atmosfera non c’entra nulla.
E non bisogna dimenticare che vicino all’astronauta c’è il suo collega, Neil Armstrong, che sta scattando la foto e che indossa una tuta bianchissima che riflette il sole verso Aldrin.
Ovviamente la quantità di luce riflessa dalla superficie lunare verso qualunque oggetto che si erga sopra di essa è minore di quella che colpisce un oggetto esposto alla luce solare diretta: ma come ben sa qualunque fotografo, per fotografare un soggetto in ombra è sufficiente regolare la fotocamera in modo che raccolga più luce. Infatti i caricatori di pellicola delle missioni lunari riportano appunto le regolazioni per effettuare foto di soggetti in ombra, come si vede in Figura 5.5-2.
Figura 5.5-2. Un caricatore di pellicola della missione Apollo 11 mostra l’etichetta con le indicazioni per lo scatto di foto di soggetti in ombra (“full shadow-5.6”). Fonte: Museo Smithsonian.
Questa regolazione per lo scatto in ombra, però, comporta che gli oggetti illuminati direttamente dal Sole siano sovraesposti: infatti nelle foto Apollo che mostrano correttamente dei soggetti in ombra si nota che la superficie lunare illuminata direttamente dal Sole è sovraesposta e quindi molto chiara o addirittura bianca.
È facile dimostrare che il riverbero del suolo lunare è sufficiente a illuminare in modo adeguato un astronauta che sta in ombra: basta costruire un modellino del modulo lunare e collocarlo su una superficie dipinta di grigio molto scuro, che rifletta la luce grosso modo quanto la Luna. Poi si mette questo plastico all’aperto, di notte, lontano da muri che possano riflettere la luce e falsare l’esperimento, e lo si illumina con una singola fonte luminosa puntiforme e distante, che simuli il Sole.
Se si regola l’esposizione della fotocamera in modo da fotografare correttamente i soggetti in ombra, come mostrato in Figura 5.5-3, si ottiene un risultato molto simile a quello della foto controversa: l’astronauta sulla scaletta è ben illuminato e visibile, pur non essendoci altra luce che quella riflessa dalla superficie lunare simulata, e le parti della superficie che sono illuminate dal “sole” risultano slavate e sovraesposte.
Figura 5.5-3. Un modello in scala, collocato all’aperto di notte e illuminato da un singolo riflettore lontano, ricrea l’ambiente e l’illuminazione della Luna. Credit: PA.
In altre parole, chiunque presenti questo fenomeno come una rivelazione che dimostra la falsificazione delle missioni lunari sta in realtà rivelando di non sapere le regole di base della fotografia.
Del resto, basta porsi una domanda di buon senso: se davvero gli astronauti non dovessero essere visibili nelle foto quando sono in ombra sulla Luna, perché la NASA sarebbe stata così stupida da presentare al mondo delle fotografie false che qualunque fotografo avrebbe smascherato?
Questa tesi è uno spunto per spiegare un’altra particolarità delle missioni Apollo: come mai tutti e sei i moduli lunari atterrarono mettendo il portello d’uscita in ombra? La risposta è che i LM scendevano verso la superficie lunare avendo cura di tenere il Sole dietro di sé, in modo che l’ombra del veicolo fosse visibile agli astronauti dai finestrini anteriori e fungesse da riferimento di distanza dalla superficie: un ausilio preziosissimo in un ambiente nel quale manca ogni riferimento dimensionale abituale (case, alberi, strade) e non c’è nemmeno l’offuscamento atmosferico che indica se un oggetto è vicino o lontano.