Figura 3.12-1. Il retroriflettore della missione Apollo 11, messo in posizione sulla Luna. Foto AS11-40-5952.
Si tratta di dispositivi passivi, che non richiedono energia per funzionare. Di conseguenza, nonostante siano trascorsi decenni è tuttora possibile colpirli da Terra con un raggio laser molto potente, puntato su coordinate estremamente precise della Luna (se si manca il bersaglio non si ottiene un segnale significativo), e ottenere un riflesso rilevabile. Il tempo che passa fra l’invio del raggio e il ritorno del suo riflesso permette di misurare la distanza Terra-Luna con una precisione dell’ordine dei centimetri.
Uno dei retroriflettori costruiti per il programma Apollo è in mostra presso il National Air and Space Museum a Washington, DC.
Figura 3.12-2. Potenti raggi laser vengono puntati verso zone specifiche della Luna dal Goddard Geophysical and Astronomical Observatory e colpiscono i retroriflettori Apollo. Foto NASA, 2007.
Tuttavia va detto che anche i sovietici collocarono dei retroriflettori sulla Luna, senza usare astronauti, con le missioni automatiche Luna 17 e Luna 21, rispettivamente nel 1970 e nel 1973. Quindi i retroriflettori statunitensi non sono una prova rigorosa della presenza di astronauti sulla Luna, perché potrebbero essere stati collocati usando veicoli automatici: dimostrano però che gli Stati Uniti nel 1969 e nel 1971 riuscirono davvero a piazzare con precisione degli apparati nei punti dove dichiarano di aver effettuato gli sbarchi con equipaggi.