Figura 13.3-1. David Scott, Alfred Worden e James Irwin insieme al subsatellite che metteranno in orbita intorno alla Luna nel corso della missione Apollo 15. Foto AP15-S71-22401.
Lo fecero per conto di H. Walter Eiermann, che a sua volta agiva su ordine di un filatelista tedesco, Hermann Sieger, con l’intesa che cento delle buste clandestine sarebbero state cedute dagli astronauti a Eiermann in cambio di 7000 dollari, depositati su un conto estero, per ciascun astronauta e le altre 298 sarebbero state conservate dai membri dell’equipaggio come souvenir. L’accordo prevedeva inoltre che le buste non sarebbero state vendute prima della fine del programma Apollo.
Figura 13.3-2. Riproduzione delle buste portate sulla Luna da Apollo 15. Credit: Wikimedia.
Eiermann, però, vendette le proprie buste a Sieger, che a sua volta le mise pubblicamente in vendita poco dopo la missione Apollo 15: ne nacquero uno scandalo e un’indagine del Congresso che coinvolsero anche il collega Jack Swigert (Apollo 13). Lo sfruttamento economico delle missioni spaziali da parte degli equipaggi Apollo era infatti severamente proibito. L’equipaggio di Apollo 15 restituì i 7000 dollari, ma Swigert, Scott e Worden furono rimossi dal servizio come astronauti, mentre Irwin si dimise per dedicarsi alla predicazione religiosa.
Va notato che soltanto dopo quest’episodio la NASA scrisse delle regole su cosa gli astronauti potevano portare con sé nello spazio e chiarì che gli oggetti che avevano volato non potevano essere venduti ma soltanto donati.
Queste regole erano fortemente differenti dal trattamento riservato agli astronauti del programma Mercury, che avevano ricevuto il permesso di condividere un contratto di esclusiva da 500.000 dollari con le riviste del gruppo Time-Life.
Figura 13.3-3. Una lettera dell’ufficio legale DeOrsey and Thompson che distribuisce la prima tranche di pagamento ai sette astronauti Mercury da parte di Life Magazine nel 1960. Credit: Icollector.
Inoltre, anche se molti pensano che gli astronauti Apollo fossero lautamente pagati per i voli spaziali, in realtà ricevevano soltanto uno stipendio militare standard. Di conseguenza, era prassi comune creare qualche garanzia economica per la famiglia in caso di morte, per esempio autografando degli oggetti che sarebbero stati poi venduti ai collezionisti dagli eredi. In caso di sopravvivenza, agli astronauti si apriva invece la possibilità di sottoscrivere contratti di consulenza, fare apparizioni pubbliche sponsorizzate e vendere le proprie autobiografie, ma solo dopo essersi ritirati dal servizio attivo.