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7.5 Perché fare un pericoloso rendez-vous in orbita lunare?

IN BREVE: Perché rendeva possibile usare un solo razzo gigante Saturn V al posto di due (o dell’ancora più gigantesco Nova, che esisteva solo sulla carta). I pesi e le potenze occorrenti per questa soluzione erano molto minori di quelli richiesti dalle alternative, che la NASA esaminò e scartò con riluttanza perché il rendez-vous lunare era molto rischioso.


IN DETTAGLIO: Alcuni lunacomplottisti trovano assurda l’idea che la NASA scelse di effettuare complicatissime manovre di sgancio, riaggancio e rendez-vous fra modulo di comando e modulo lunare intorno alla Luna anziché farle in orbita terrestre, dove c’era più possibilità di soccorso in caso di problemi, o meglio ancora seguire il modello classico e semplice presentato da tanti film di fantascienza: un unico veicolo che parta dalla Terra, sbarchi sulla Luna e ritorni, senza dividersi in pezzi da ricomporre goffamente e rischiosamente.

In effetti il piano iniziale della NASA era proprio quello di sbarcare sulla Luna con un unico veicolo, grande e alto, chiamato tailsitter perché sarebbe atterrato sulla propria coda (Figura 7.5-1).


Figura 7.5-1. Una configurazione del tailsitter concepito inizialmente come veicolo di allunaggio. Inserzione della NASA sulla rivista Aviation Week and Space Technology, maggio 1962. Fonte: Sven Knudson, Ninfinger.org.


Questa soluzione aveva il pregio di richiedere una traiettoria relativamente semplice: un volo diretto verso la Luna (direct ascent), senza alcuna complessa manovra di attracco ed estrazione di un modulo lunare, senza alcun trasbordo di parte dell’equipaggio e senza alcun rendez-vous che potesse andare storto al ritorno dalla Luna. Per questo fu a lungo favorita dai tecnici della NASA incaricati di sviluppare i veicoli per il progetto Apollo.

Tuttavia il tailsitter aveva alcuni difetti molto importanti: per esempio, gli astronauti avrebbero dovuto far atterrare manualmente un veicolo molto alto (circa 20 metri nella versione mostrata in Figura 7.5-1) e quindi instabile, e farlo oltretutto senza poter vedere la superficie lunare direttamente sotto di loro, per via dell’ingombro della base del veicolo. In alcune varianti avrebbero dovuto ricorrere addirittura a un periscopio e pilotare stando sdraiati sulla schiena.

Una volta allunati, inoltre, si sarebbero trovati in cima al veicolo, dal quale avrebbero dovuto quindi calarsi, con conseguente fatica per via della rigidità della tuta spaziale e con il rischio di cadere da grande altezza (una caduta sulla Luna può essere comunque fatale nonostante la gravità ridotta). Il rientro a bordo e il caricamento dei reperti lunari avrebbero poi comportato un’impegnativa arrampicata.

Ma l’ostacolo fondamentale al tailsitter era il fatto che far scendere sulla Luna l’intero veicolo usato per il viaggio dalla Terra, anziché una scialuppa ridotta all’essenziale, avrebbe aumentato enormemente le masse in gioco e quindi il propellente necessario e di conseguenza avrebbe richiesto un razzo ancora più colossale del già gigantesco Saturn V.

Per fare un esempio, il tailsitter avrebbe comportato far scendere sulla Luna tutto l’equipaggio e tutta la massa dello scudo termico (inutile sulla Luna ma necessario per il rientro sulla Terra), nonché tutto il propellente, l’ossigeno, l‘acqua e il cibo da usare durante il viaggio di ritorno. Questo avrebbe richiesto motori di frenata e di discesa più potenti, che avrebbero richiesto più propellente, che a sua volta avrebbe richiesto motori più potenti. Non solo: tutta questa massa inutile, una volta arrivata sulla Luna, sarebbe dovuta ripartire dalla superficie lunare, richiedendo motori più potenti, che avrebbero consumato più propellente, che avrebbe richiesto motori più potenti, e così via.

Portare sulla Luna tutta la massa di un tailsitter avrebbe richiesto un missile immenso, il Nova (Figura 7.5-2), che non esisteva ancora e non poteva essere approntato in tempo per la scadenza imposta dal presidente Kennedy. L’unico vettore sviluppabile per tempo era il Saturn V, relativamente più piccolo.


Figura 7.5-2. A destra, il Nova versione 8L; al centro, il C-5, precursore del Saturn V. Documento M-MS-G-36-62, aprile 1962.


I progettisti pensarono anche di usare un primo Saturn V per lanciare il tailsitter vuoto in orbita terrestre e poi lanciare un secondo Saturn con il propellente. Questa era la tecnica chiamata Earth Orbit Rendezvous (EOR), a lungo prediletta dalla NASA: ma implicava due lanci ben coordinati e un pericolosissimo trasbordo di propellente nello spazio, mai tentato prima, e comunque comportava lo stesso la necessità di far atterrare sulla Luna, e soprattutto di far ripartire dalla Luna senza alcuna assistenza tecnica, un veicolo grande come un missile Atlas, che sulla Terra richiedeva circa tremila addetti per il lancio.

C’era un’alternativa: dividere il tailsitter in due veicoli distinti. Quello principale sarebbe rimasto in orbita lunare e quello secondario, una scialuppa specializzata e ridotta all’osso, sarebbe sceso sulla Luna.

Questa soluzione riduceva il peso complessivo così drasticamente (di circa tre quarti) da permettere di lanciare l’intera missione con un singolo missile Saturn V, ma al prezzo di compiere un delicato rendez-vous in orbita lunare (Lunar Orbit Rendezvous o LOR), il cui fallimento avrebbe comportato la morte certa per i due astronauti che ripartivano dalla Luna. Una scelta rischiosa, dunque, ma perfettamente sensata.

Il concetto non era affatto nuovo: l’idea del LOR risaliva al 1916, quando fu concepita dal russo Yuri Vasilievich Kondratyuk. Ma la NASA all’inizio fu estremamente riluttante a correre questo rischio, nonostante fossero stati commissionati degli studi preliminari che includevano anche il LOR, e rimase convinta di dover tentare il metodo del tailsitter. Va considerato che all’epoca nessuno aveva mai effettuato un rendez-vous con attracco nello spazio, neanche intorno alla Terra, per cui l’idea di farne uno addirittura in orbita intorno alla Luna era un’incognita assoluta.

Nel 1961 un ingegnere di basso rango della NASA, John Houbolt (1919-2014, Figura 7.5-3), strenuo sostenitore del metodo LOR, scavalcò le gerarchie e scrisse un’accorata lettera all’amministratore associato della NASA, Robert C. Seamans Jr., lamentando di essere “una voce nel deserto” nel sostenere la convenienza e anzi la necessità di ricorrere a questa soluzione per rispettare la scadenza della fine del decennio.

La sua iniziativa contribuì a far riesaminare l’idea del LOR, che rimase comunque osteggiata a lungo ai livelli più alti dell’ente spaziale. Ma a furia di insistere, a luglio del 1962 l’ossessione di un tecnico sconosciuto divenne il piano definitivo della NASA per raggiungere la Luna.


Figura 7.5-3. John Houbolt nel 1962. Fonte: NASA/LARC/Bob Nye.


Il ruolo fondamentale di John Houbolt nel successo delle missioni Apollo è spesso ignorato dai non esperti, ma la NASA ricorda in dettaglio la sua figura e i suoi meriti. Queste sono alcune fonti (in inglese) per saperne di più: