Figura 14.9-1. Da sinistra, in prima fila: Michael J. Smith, Francis R. (Dick) Scobee e Ronald E. McNair. Da sinistra, in seconda fila: Ellison Onizuka, Christa McAuliffe, Gregory Jarvis e Judith Resnik.
L’intero equipaggio dello Shuttle Challenger morì durante il decollo il 28 gennaio 1986. Un minuto e tredici secondi dopo che il loro veicolo spaziale aveva lasciato la rampa di lancio per la missione STS-51L, una delle guarnizioni dei razzi laterali a propellente solido (booster) si ruppe a causa del freddo intenso di quella mattina, lasciando sfuggire una lingua di fuoco che colpì il serbatoio esterno contenente idrogeno e ossigeno liquidi, che deflagrarono mentre il veicolo si trovava a circa 15 chilometri di quota e l’America assisteva, scioccata e impotente, in diretta televisiva.
Le sollecitazioni aerodinamiche disintegrarono lo Shuttle, ma la cabina rimase pressoché intatta, proteggendo gli astronauti (privi di mezzi di salvataggio utilizzabili) fino all’impatto violentissimo e letale con l’oceano a oltre 330 chilometri l’ora.
Il disastro del Challenger fu la prima perdita di un equipaggio statunitense durante una missione spaziale.