Viste le circostanze, comprensibilmente molte persone hanno ipotizzato, nel corso dei decenni, che gli astronauti Apollo fossero stati dotati di qualche forma di veleno rapido e indolore per evitare l’agonia. Ma in realtà già all’epoca delle missioni quest’ipotesi fu smentita pubblicamente, per esempio su La Stampa del 16 luglio 1969, in un articolo intitolato Avranno 48 ore di vita:
...se un qualche guasto intervenisse a impedire la partenza dal terreno lunare, non ci sarebbe rimedio per quegli uomini. La riserva ambientale del veicolo nel quale essi si rinchiudessero potrebbe assicurare loro una sopravvivenza di un paio di giorni terrestri: e in questo tempo, e neanche in tempo molto più lungo, si potrebbe né pensare né preparare una spedizione di soccorso. Si è detto che gli astronauti hanno rifiutato quello di cui si pensava di dotarli, una capsula di cianuro. Uomini di quella fatta non possono, non debbono considerare l’eventualità di un insuccesso.
(La Stampa del 16/7/1969, dalla collezione personale di Gianluca Atti)
L’idea viene discussa in maggiore dettaglio dal settimanale Epoca del 13 luglio 1969 in un’intervista a Charles Berry, medico personale degli astronauti Apollo (Figura 13.7-1):
“Gli astronauti sanno”, ci ha detto il dottor Charles Berry, “che durante il volo arriverà il momento in cui potrebbe capitare qualsiasi cosa. Ne abbiamo parlato apertamente. Se il motore per il ritorno non funzionerà, essi non cercheranno di abbreviare la loro vita: lotteranno fino all’ultimo...”.
“[...] facciamo un esempio storico. Le SS avevano calcolato il rischio di essere catturate: piuttosto di finire vive in mano al nemico, frantumavano con i denti una fiala di cianuro di potassio. È difficile la domanda, ma mi risponda, dottor Berry: avete pensato a qualcosa di simile?”
“No, Armstrong, Aldrin e Collins non useranno alcuna fiala o pillola nel senso che intende lei. Io ho parlato con l’equipaggio che va sulla Luna anche di questo problema e i tre mi hanno risposto francamente che non desiderano fare ricorso ad alcun mezzo per abbreviare la loro vita in caso di incidente. Gli astronauti vogliono continuare ad eseguire il loro lavoro finché sarà possibile: del resto, non hanno mai pensato che possa loro succedere qualcosa di irreparabile. E poi c’è un altro motivo: se avessero una pillola o una fiala di questo tipo sarebbero condizionati, non sfrutterebbero totalmente quella forza di volontà che ora li spinge”.
Figura 13.7-1. L’intervista di Epoca al dottor Charles Berry. Scansione dalla collezione personale di Gianluca Atti.
Le parole di Berry a proposito di lottare fino all’ultimo non sono retorica: a seconda del tipo di guasto, gli astronauti disponevano di vari modi per intervenire e tentare di rimediare. Per esempio:
- In caso di malfunzionamento del circuito di accensione del motore di decollo del modulo lunare era possibile uscire dal veicolo usando una riserva d’ossigeno di circa trenta minuti e ricollegare i cavi di controllo e alimentazione scavalcando il circuito difettoso.
- Se il decollo fosse avvenuto correttamente ma fosse fallito l’attracco pressurizzato con il modulo di comando, gli astronauti avrebbero potuto effettuare una passeggiata spaziale per trasferirsi dal modulo lunare al modulo di comando.
- Se il decollo dalla Luna fosse stato impossibile, alcuni astronauti avevano considerato la possibilità di effettuare un’ultima escursione lunare, usando fino all’esaurimento l’ossigeno residuo nella tuta e raccontando via radio le proprie osservazioni man mano che si allontanavano il più possibile dalla zona di allunaggio per fornire informazioni scientifiche fino all’ultimo. Questo tipo di comportamento era frequente nell’ambiente dei piloti collaudatori, che spesso continuavano a fornire le letture dei propri strumenti anche mentre il loro velivolo stava precipitando.
In ogni caso, l’ambiente nel quale si trovavano gli astronauti rendeva superfluo fornire loro una capsula di veleno per trovare una morte veloce: considerato che si trovavano circondati dal vuoto al di fuori della cabina del modulo lunare, sarebbe stato sufficiente sfiatare la tuta spaziale o aprirne leggermente la visiera per andare incontro a una morte estremamente rapida, nel giro di mezzo minuto, per decompressione e asfissia.